Se paragoniamo quello che c’è ancora da quello che non c’è più in questo quartiere, dobbiamo partire dalla Cascina Maggiolina, che sorgeva lungo il Seveso e che è stata demolita nel 1920. Probabilmente è a lei che dobbiamo il nome di questa zona.
Proseguiamo con Villa Mirabello, un’antica cascina quattrocentesca appartenuta a famiglie illustri dell’epoca, in rapporti con gli Sforza.
Nel tempo è divenuta sede della Casa Patronato per i Ciechi di Guerra e di studi professionali e creativi, ma sempre mantenendo il fascino del favoloso cortile interno e del giardino.
Concludiamo con gli alloggi post-bellici. A Maggiolina si respira da sempre aria di sperimentazione.
Nel dopoguerra, altri quartieri di Milano rispondono all’emergenza abitativa delle famiglie di sfollati a causa dei bombardamenti aerei con le famose “case minime”: edifici unifamiliari a schiera, progettati dell’Ufficio Tecnico Comunale, in particolare dall’architetto Arrigo Arrighetti. Le case minime avevano al piano terra la zona giorno, con ingresso, piccola cucina, bagno, soggiorno e un giardino nel retro; al piano superiore, due camere da letto.
Maggiolina, invece, ha lavorato con la fantasia. Qui l’emergenza abitativa degli anni ’50 assume un profilo fiabesco e a tratti onirico: una soluzione furono le case igloo, ancora oggi visibili in parte; l’altra, le due case a fungo, demolite però negli anni ’60.
Com’erano fatte le case a fungo? Il gambo al piano inferiore, più stretto, la cappella al piano superiore, più ampia. Sembra che l’ingegner Mario Cavallè abbia tratto ispirazione dall’Amanita Muscaria, uno dei funghi psicoattivi più appariscenti del bosco.
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