Sulla mappa di Milano del 1878 Lambrate è ancora un antico borgo a carattere agricolo con solo piccoli nuclei abitati.
A livello architettonico molte cascine e diversi mulini si possono ancora scorgere in zona. Due esempi sono la Sant’Ambrogio in via Cavriana, sede dell’Associazione CasciNet, con ancora la sua abside romanica e la grande Cascina Biblioteca di origini medievali nel Parco Lambro.
A Oltre alle cascine, resistono le ville di delizia, cioè residenze suburbane in cui i nobili trascorrevano la villeggiatura.
Una di queste è Villa Busca Serbelloni, costruita a fine Settecento da Ferdinando Busca Serbelloni che scelse Lambrate come luogo di vacanza. Attualmente è una villa privata e sede di uno studio di architettura e design.
La residenza mantiene la sua struttura architettonica originaria, anche se dell’immenso giardino è rimasto ben poco. È soprannominata “la Garibaldina” in quanto ospitò Garibaldi di ritorno a Milano dopo molti anni di assenza, nel 1862.
La tradizione bucolica secolare di Lambrate si riduce progressivamente dal 1846 con la costruzione di uno dei primi tratti ferroviari di Milano. Da zona agricola e suburbana, diventa un importante polo industriale con l’insediamento di fabbriche del calibro di Bombelli, Richard Ginori, De Nora, Cinelli, Faema, Bracco, Tre Marie e molte altre.
A Oltre alle cascine, resistono le ville di delizia, cioè residenze suburbane in cui i nobili trascorrevano la villeggiatura.
Una di queste è Villa Busca Serbelloni, costruita a fine Settecento da Ferdinando Busca Serbelloni che scelse Lambrate come luogo di vacanza. Attualmente è una villa privata e sede di uno studio di architettura e design.
La residenza mantiene la sua struttura architettonica originaria, anche se dell’immenso giardino è rimasto ben poco. È soprannominata “la Garibaldina” in quanto ospitò Garibaldi di ritorno a Milano dopo molti anni di assenza, nel 1862.
Il quartiere si popola di lavoratori e, di conseguenza, di alloggi per operai con abitazioni che lo caratterizzano: dalle case di ringhiera di inizio Novecento alle case dei ferrovieri dell’Ortica; dalle “case minime” di via Civitavecchia alle palazzine del quartiere per i dipendenti di Rizzoli, fino a Feltre, esperimento di quartiere autosufficiente realizzato fra il 1957 e il 1960.
Quest’ultimo progetto è opera di un gruppo di architetti, fra i quali Baldessari, De Carlo, Gardella e Mangiarotti, coordinati dall’arch. Gino Pollini.
Qui sono riconoscibili due aree. Una composta da edifici di 4 piani, disposti intorno a negozi, spazi pubblici e alla chiesa. L’altra è composta di edifici di 9 piani che abbracciano un ampio spazio verde e una scuola elementare all’interno.
La relazione tra verde e costruito, l’equilibrio tra residenze e servizi, fanno del quartiere Feltre un felice esempio di edilizia residenziale pubblica.
A metà degli anni Settanta le fabbriche cominciano a essere dismesse, lasciando il territorio con enormi capannoni vuoti. Nel 2000, gli architetti Mariano Pichler e Gianluigi Mutti avviano la rigenerazione del quartiere, partendo da via Ventura, e portando sempre più imprese creative a sceglierlo per le loro sedi.
Questa diventerà la cifra stilistica di Lambrate, che si conquista un posto importante durante la settimana del Fuorisalone.
“Abbiamo pensato di sostituire i colletti blu delle fabbriche con colletti bianchi” afferma l’Architetto Pichler, che ha visto progredire questa riqualificazione. Molte gallerie d’arte contemporanea, come Monopoli e Francesca Minini, si sono spostate qui e hanno cominciato a far conoscere il quartiere ai loro collezionisti, con mostre, eventi, inaugurazioni.
La ex Faema, ristrutturata dall’Architetto Aldo Cibic, ha ospitato per anni la redazione della rivista Abitare, diventando poi sede della scuola di linguaggi creativi Mohole, che attira oltre cinquemila studenti ogni anno.
Proprio di fronte è stato eretto l’edificio UNDAI nel 2011, progettato da Ruatti Studio Architetti. Dalla forma originale, ospita spazi commerciali e gallerie al piano terra, la ristorazione al primo piano e laboratori ai piani superiori.
Il lotto crea una sorta di cerniera fra il recente tessuto residenziale e quello industriale del passato.
L’edificio è chiamato “Luna” a seguito dell’installazione di Patrick Tuttofuoco.
La scritta, recuperata dal parco divertimenti dismesso delle Varesine, rappresenta un passaggio di testimone a una zona che rischiava di andare incontro allo stesso destino di abbandono: la vecchia insegna, restaurata e resa di nuovo funzionante, è l’ennesimo testimone del rinnovamento del quartiere che diventa simbolo della Milano che cambia.
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